7 Giugno 2008
Sciopero prosciutto: riconoscere l’origine

«Lo sciopero del prosciutto è servito a far smuovere, anche se in maniera limitata, il prezzo dei suini destinati alla macellazione, anche se ai prezzi attuali, per ogni suino ingrassato, perdiamo fino a 56 euro». A dichiaralo è Donato Curcio, consigliere dell’associazione nazionale allevatori suini (Anas) e proprietario dell’azienda suinicola “Colli lucani” a Picerno. Proprio nella zona del Marmo Melandro è concentrata maggiormente la produzione lucana. In Basilicata si registra una presenza di 120 mila capi suini. Molte le aziende che, oltre ad allevare i maiali, fanno trasformazione. Un comparto che mantiene i legami con la tradizione in un territorio altamente vocato.  «Il mercato suinicolo – afferma Curcio – ha sempre subito alti e bassi, caratterizzato da fibrillazioni, ma mai come in questi ultimi mesi ha toccato il fondo mettendo letteralmente in crisi tutte le imprese agricole del comparto e senza che il consumatore finale ne potesse apprezzare i vantaggi di un mercato a ribasso. Il nostro auspico è che la mobilitazione degli allevatori possa servire a stabilizzare il prezzo di mercato dei maiali e poter contare su congrui prezzi di riferimento per consentire all’impresa agricola una seria programmazione».
 
La protesta attivata dagli allevatori italiani ha l’obiettivo di far comprendere ai rappresentanti della grande industria di trasformazione e stagionatura dei prosciutti Dop le gravi difficoltà che il comparto deve affrontare con i continui aumenti dei costi delle materie prime e dei mezzi per la produzione. Sono, infatti, drasticamente aumentate le spese delle imprese agricole, per l'alimentazione degli animali, con un balzo fino al 30 per cento dei costi di cereali e oleaginose, cui  si sono aggiunti rincari anche nelle spese energetiche e la necessità di investimenti nelle strutture e nei mezzi aziendali per ottemperare agli obblighi comunitari.
 
Insieme ai problemi di mercato anche quelli burocratici. Tra le richieste degli allevatori alle istituzioni regionali, quella di rivedere la restrittiva normativa sui nitrati che obbliga le imprese zootecniche a farraginose e costose procedure per la gestione dei liquami prodotti in allevamento.
 
Lo “sciopero del prosciutto” è servito anche a denunciare una mancanza di trasparenza in cui quattro prosciutti su cinque commercializzati in Italia vengono importati.
«Nelle ultime settimane – evidenzia Coldiretti – i maiali sono stati pagati alla produzione 1,08 euro al chilogrammo, mentre il prezzo medio del prosciutto pagato dal consumatore è di 24,55 euro al chilogrammo. Dall’allevamento alla tavola il prezzo della carne di maiale aumenta anche di venti volte. Nella forbice tra i prezzi alla produzione e quelli al consumo c’è un sufficiente margine per garantire un’adeguata remunerazione agli allevatori, senza gravare sui bilanci delle famiglie. 
 
Occorre che ci sia la massima trasparenza verso i consumatori estendendo alla carne di maiale e ai suoi derivati l’obbligo di indicare la provenienza in etichetta, che al momento riguarda solo i salumi Dop. E’ l’unico modo per reggere la concorrenza di 60 milioni di cosce di maiale fresche importate dall’estero, che spesso rischiano essere spacciate per italiane nonostante i minori livelli qualitativi e di garanzia sanitaria. Un inganno che danneggia allevatori e consumatori e che apre le porte a frodi e sofisticazioni come episodi anche recenti hanno dimostrato. Se non riusciamo a valorizzare e distinguere le nostre produzioni, potrebbero scomparire numerosi allevamenti».
 
Per far fronte a questa situazione, la Coldiretti chiede con forza la differenziazione del prezzo tra il maiale nazionale destinato alle denominazioni di origine e quello da macelleria fresca.
«E’ necessaria – continua la Coldiretti - una norma che renda obbligatoria l’indicazione della zona di provenienza della carne maiale e dei prodotti da macelleria, per evitare che vengano spacciati come italiani i 40 milioni di prosciutti che ogni anno arrivano sui nostri mercati dai Paesi del Nord Europa. Negli scaffali dei negozi italiani - stima la Coldiretti - ben due prosciutti su tre provengano da maiali allevati in Olanda, Danimarca, Francia, Germania, Spagna senza che questo venga chiaramente indicato in etichetta».